Il saggio intende mettere in risalto il grado di politicizzazione del basso clero liberale nel nonimestre rivoluzionario napoletano. Di tradizione legittimista, è ampiamente rappresentato negli elenchi dei rivoluzionari, ma il suo ruolo è stato tuttavia sottovalutato da una storiografia tradizionalmente interessata al coinvolgimento dei militari e degli amministratori, considerati gli attori classici delle rivoluzioni ottocentesche nonché protagonisti del Risorgimento meridionale. Le fonti poliziesche prodotte dalle autorità nazionali o provinciali, nonché la ricchissima letteratura memoriale liberale insistono invece sulla loro partecipazione massiccia alla Carboneria meridionale, sulla loro funzione nella diffusione della rivoluzione tramite la predicazione e le celebrazioni religiose. Inoltre, la loro doppia veste di sacerdoti e di maestri di scuola, erede della politica religiosa del decennio francese, che viene mantenuta anche dopo la fine della dominazione napoleonica, ha notevolmente contribuito a plasmare questa idea, rendendoli protagonisti della diffusione della rivoluzione tra le comunità locali. Il saggio analizza dunque il loro ruolo decisivo del clero liberale napoletano di intermediari della rivoluzione e la sua funzione nella costruzione della convenzione politica liberale, soffermandosi in particolare sul caso delle tre provincie di Avellino, di Cosenza e di Salerno, le più documentate negli archivi nazionali e locali. Questo ruolo del clero si inserisce in ultima analisi in una visione più ampia della comunità liberale come « nazione cattolica », promossa dalla Costituzione di Cadice del 1812, ed è parte di una lettura del corpo sociale e politico condivisa con tutti gli Stati europei e americani che l’hanno adottata a partire dal 1820. Il coinvolgimento politico del clero evidenzia così la costruzione di una religione politica liberale che conoscerà sviluppi nelle vicende politiche ulteriori del regno.
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